La Thailandia ha una lunga tradizione nel commercio internazionale, che risale al periodo di Sukhothai, quando relazioni commerciali furono stabilite con la Cina ed altri paesi asiatici. Il commercio estero si espanse rapidamente durante il periodo di Ayutthaya con mercanti stranieri che arrivavano da Giappone, Arabia e Europa.
Attraverso macchinazioni politiche le frontiere vennero chiuse per 200 anni, fino al regno di Rama IV, un trattato concluso con gli inglesi nel impose una tassazione ad valorem sulle merci del 3% e permise l’esportazione del riso. Bangkok fu subito trasformata in un interessante centro commerciale.
Nel periodo post-bellico le industrie si concentrarono principalmente nel settore della manipolazione del cibo. In questo periodo e ancora per qualche decennio la Thailandia fu vista come un paese del terzo mondo, esportatrice principalmente di beni primari come legno, prodotti alimentari, artigianato e gemme e importatrice per lo piu’ di merci lavorate. L’abbondanza di raccolti ottenuti dalle terre agricole e dalle regioni marittime dominarono l’economia fino ad anni molto recenti. Questa diversita’ e abbondanza di prodotti naturali ha fatto in modo che non solo il paese fosse autosufficiente per cibo e altri prodotti naturali ma lo ha portato ad essere il solo paese asiatico esportatore di cibo. I maggiori prodotti esportati comprendono: riso, topioca, ananas in scatola, gamberetti, tonno, gomma, zucchero e fiori da taglio.
Un numero crescente di paesi furono attratti in Thailandia intorno agli anni ’60 e si ebbe in questo periodo l’inizio di una certa industializzazione. Sebbene i prodotti naturali sostenessero l’economia, impiegando il 57% della forza lavoro e contando per circa il 12% dell’entrate nazionali fu da circa dalla meta’ degli anni ‘80 che si ebbe una massiccia industralizzazione. Cio’ fu favorito dall’Agriment Plaza del 1985 che fece diminuire il valore del dollaro e che provoco’ il boom degli investimenti in Thailandia. Inibite da un forte yen in casa le industrie giapponesi mossero la produzione all’estero e la Thailandia, con il suo basso costo del lavoro e una politica di benvenuto, fu una prima scelta per attirare gli investimenti esteri.
Il Giappone fu subito seguito da Corea e Taiwan e i complessi industriali crescevano come funghi nell’hinyerland di Bangkok e nelle regioni vicine, come l’Eastern Seaboard.
Fu principalmente merito di Prem Tinsulanonda, al governo dal 1980 al 1988 se il paese apri’ l’apertura economica del paese al commercio internazionale. Una manodopera abbindante e a basso costo, abbondanza di risorse naturali, conservatorismo fiscale, politiche di apertura agli investimenti stranieri e di incoraggiamenti al settore privato crearo un momento magico per il paese.
La struttura produttiva del paese cambio’ alle imprese agricole si affiancarono altre industrie principali che erano quelle elettroniche, dei circuiti integrati, dei computer, delle macchine e dell’abbigliamento. Il risultato fu una base manifatturiera piu’ diversificata.
Le industrie subito soppiantarono l’agricoltura come come mezzo di raccolta di moneta straniera. Intanto a diminuire questo ruolo dell’economia emergeva anche il turismo, con 7.2 milioni di visitatori arrivati nel 1996.
In questo periodo il prodotto interno lordo, cresceva all’alta media del 13%, 11% e il 10% nel 1988, 1989 e 1990. E’ dagli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, fino alla crisi, che la Thailandia fu acclamata come una delle Tigri Asiatiche. Il paese inizio’ gli anni ’90 con eccezionale ottimismo.
Il prezzo degli immobili diventava quasi il doppio nel tempo necessario a costruire un edificio, nuove strade davano accesso ai mercati e aumentavano i prezzi della terra che si trovava fra le nuove strade, i centri commerciali divennero piu’ familiari dei tradizionali mercati, la costa est fu industrializzata e la percentuale di persone che lavoravano in agricoltura scese dal 75 al 50%, dove rimane oggi. Persone giovani divennero comparativamente ricche. Tutti avevano motociclette, costruite e assembleate in Thailandia, e alcuni avevano macchine. Le persone acquistano case invece che affittarle nella massima convinzione che avrebbero potuto sempre rivenderle a molto piu’ di cio’ che le avevano pagate. Ogni casa aveva TV e frigo e molte avevano aria condizionata. Il sottosviluppo della Thailandia dei primi degli anni ’70 stava galoppando spedito verso la prosperita’. Senza preoccuparsi di guardarsi alle spalle o di mettere qualcosa da parte per i giorni piovosi. Tutti prendevano a prestito ripagando meno del guadagno ottenuto dal capitale. Fu qualcosa di grande finche’ duro’.
Molti tai istruiti oggi devono la loro istruzione a a questi prosperi e ottimistici giorni, molti edifici e sistemi di comunicazione furono costruiti durante questi anni delle Tigri.
Il colpo di stato del 1991 dimostro’ come si svolgevano queste vicende in Thailandia. La fiducia degli investitori subito ritorno e si diffuse fino a cha la Thailandia non fu dichiatato Nuovo Paese Industrializzato. Il prodotto interno lordo intanto continuava a crescere a una media che nel 1996 fu dell’8%.
Nel 1992 il governo approvava il Bangkok International Banking Facility, come una liberazione parziale del settore bancario straniero. Questo permetteva alle compagnie thai di ottenere interessi piu’ bassi sui prestiti stabiliti in dollari statunitensi. Queste compagnie ottenevano anche combustibile per l’espansione bond, convertibili e warrant. Mentre alcuni di questi fondi erano investiti sostanziali porzioni erano incanalate in avventure speculative edilizie. Nuovi alberghi, complessi di abitazioni e blocchi di edifici sorsero intorno a Bangkok, e non solo, senza minimamente pensare a chi li avrebbe occupati.
Nel 1995 le cose non apparivano piu’ cosi’ rosee per l’economia thailandese. Strozzature nei trasporti e nelle comunicazioni debilitavano l’espansione. I salari non erano piu’ bassi e stavano emergendo centri in Cina, India, Vietnam e anche nell’Europa dell’Est a piu’ basso costo. La Thailandia mancava di infrastrutture e personale qualificato per muovere nel settore dell’alta tecnologia. C’erano anche rumori minacciosi che non tutto fosse cosi’ pulito nel settore finanziario.
Un fattore che ha a lungo sostenuto l’economia thai furono le politiche monetarie conservative adottate dal dalla banca centrale. Il bath era stato per lungo tempo agganciato a 25 contro il dollaro. Questo sicuramente aveva attirato qualificati tecnologi nel settore privato in cerca di rapida ricchezza, Accenni di problemi si ebbero nel 1996 quando il Fondo Monetario Internazionale ammoni’ sull’estensione dei prestiti.
Poi improvvisamente, a meta’ del 1997, il bubbone scoppio. Se fino a questo momento la Thailandia aveva avuto anni di forte crescita beconomica guidati dal settore manifatturiero, una media del 9.4% per la decade antecedente il 1996. Dal maggio 1997 il baht fu sotto pressioni speculative dato che grossi manager e banche di investimento cominciarono ad avere la sensazione che il governo non sarebbe stato capace a lungo di tenere ancorata la moneta al dollaro statunitense. Massicci interventi dell Banca di Thailandia prosciugarono le riserve di moneta estera del paese, ma fu insufficiente a frenare la speculazione. Il 2 luglio il governo permise al baht di fluttuare e questo lo fece cadere a 30 contro il dollaro. Il baht fu svalutato del 40% contro il dollaro in soli quattro mesi e individui e compagnie si trovarono nella posizione di non poter far fronte ai propri debiti. Il debito estero doveva essere ripagato in dollari e raggiungeva piu’ del 52% del prodotto nazionale interno alla fine dell’anno.
Nel 1998 durante frenetici tentativi di ristrutturare il settore finanziario e immobiliare dell’economia molte banche e compagnie finanziarie fallirono o chiusero le proprie porte, miliardari si ritrovarono poveri da un giorno all’altro, milioni di persone si ritrovarono senza lavoro e si impoverirono. Il baht una volta vista come moneta forte perse tutto il suo valore. In quell’anno l’economia thai invece di una crescita a due cifre ebbe una contrazione del 10%.
La banca centrale fu obligata a rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale per aiuto. Il Fondo Monetario Internazionale concesse un prestito a breve termine di 17.2 miliardi di dollari che, quasi un miracolo, che la Thailandia ha cominciato a ripagare dal 2000 quando il tasso di crescita, lontano dall’essere quello degli anni ’80 si attesto’ su un piu’ salutare e mantenibile 5%. Il governo del rispettato uomo d’affari Chuan Leekpai tento’ di restaurare la fiducia, ma le compagnie dovevano pagare ingenti interessi in dollari piu’ il capitale e il baht continuo’ a scivolare. E’ solo dal 2001 che la Thailandia riusci’ a riavere la padronanza su baht ed economia
Sotto la supervisione del Fondo Monedtario Internazionale il governo thailandese fu obligato a un certo numero di riforme come l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto dal 7% al 10%, fare tagli a spese publiche e spostare quelle che riguardavano progetti infrastrutturali. La crescita per gli anni successivi fu stimata negativa.
Alcuni thai furono completamente rovinati nel 1997, ma la stragrande maggioranza rispose filosoficamente che cio’ che va su deve tornare giu’. Essi ricomiciarono a lavorare, a ricostruire l’economia, senza i tremendi debiti che avevano segnato gli anni delle Tigri.
Fu pero’ solo con il suo 23◦ ministro, Thaksin Shinawatra, entrato per la prima volta in carica nel 2001 che si avvia quella nuova politica economica thailandese che prende il suo nome: Thaksineconomy. L’idea di questa politica parte dal fatto che la Thailandia doveva aumentare l’attivita’ interna e ridurre la dipendenza del paese dal commercio e dagli investimenti esteri. Nel corso degli anni l’amministrazione Thaksin ha rifinito la sua politica e ha combinato l’aumento delle attivita’ all’interno con la tradizionale promozione dei mercati aperti e degli investimenti stranieri. Il risultato e’ stato un’economia veramente forte basata su vari settori e su uno sfruttamento delle risorse nazionali thailandesi come , fra i principali, stagno, petrolio e gas naturali, con la strategia economica del governo fermamente focalizzata sulle esportazioni principalmente tessili, riso e turismo.
Sotto la guida del suo governo la domanda di esportazioni, che nel 2001 era cresciuta di un debole 2,2% sali’ al 5.3% nel 2002, 7.1% nel 2003 e 6% nel 2004. Nel 2005 a causa di eventi sia mondiali, la forte crescita del prezzo del petrolio ad esempio, che nazionali le perdite subite dal settore turistico a causa dello tsunami del 26 dicembre 2004, la crescita economica scese a un 4,5%. Lo tzunami distrusse una delle principali aree turistiche della Thailandia ma nel 2005 la ricostruzione era quasi finita, le perdite subite da Phuket furono in gran parte bilanciate dai guadagni di altre aree di villeggiatura sulla parte del Golfo. I thai hanno mostrato una straordinaria capacita’ di recupero e una forte determinazione nel ricostruire il loro paese e, in dispetto alle crisi economiche e ai disastri naturali la Thailandia, agli occhi del mondo intero, rimane il paese che si e’ mosso piu’ rapidamente da una relativa poverta’ a una relativa ricchezza con un basso tasso di inflazione e un reddito pro capite che Vietnam e Cina possono soltanto sognare, un’economia leader nelle esportazione e con davanti un decennio che puo’ essere solo brillante. Da ricordare che nel 2005 la Thailandia ebbe anche un disavanzo delle partite correnti di -4.3% in soldoni -7.600 milioni di dollari americani.
Nonostante questo gia’ dall’anno successivo, il 2006, la Thailandia presenta un avanzo in conto corrente e una forte crescita delle esportazioni.
Se non specificato i dasti seguenti sono del 2010: oggi il prodotto lordo interno 584.768 miliardi di dollari, come dire 9,200 dollari pro capite, con una crescita dello stesso prodotto dell’8%. I settori influiscono nel seguente modo alla formazione del PIL agricoltura 11.4%, industria 44.5%, servizi 44.1%. L’inflazione e’ stata del 2.5%, l’indice Gini 43 (2006), la forza lavoro 37.25 milioni di persone (2008), la disoccupazione dell’1.2%.
Le principali industrie sono: automobili e parti di auto (11%), servizi finanziari (9%), apparecchi elettrici e componenti (8%), turismo (6%), cemento, produzione di auto, industrie pesanti e leggere, elettrodomestici, computer e componenti, mobili, materie plastiche , prodotti tessili e capi di abbigliamento, agro-industriale, bevande, tabacco.
Le esportazionio sono state 195.7 miliardi di dollari, le importazioni 181.1 miliardi di dollari. Le prime si dirigono principalmente verso Asean 20,1%, USA 12,6%, Giappone 11,6%, Repubblica popolare di Cina 9,7%, Singapore 6,3%, Hong Kong 5,7%, Malesia 5,1% (2007), le seconde provengono principalmente da Giappone 20,3%, della Repubblica popolare cinese 11,6%, US 6,8%, Malesia 6,2%, UAE 4,9%, Singapore 4,5%, Taiwan 4,1%, (2007). Lo stock di inmestimenti diretti stranieri e’ di 93,650,000 dollari. Il debito lordo esterno e’ di 67.01 miliardi di dollari (al 31 dicembre 2008).
Per quanto riguarda la finanza publica: il debito publico e’ di 81.6 miliardi di dollari (37,9% del prodotto lordo interno, stima 2007), le entrate 75.37, le uscite 73.29 miliardi di dollari. Le riserve in moneta estera sono di 172,000 miliardi di dollari.
Per il valore che puo’ avere: tutti e tre i principali istituti di rating (Standard & Poor's, Moody's, Fitch) considerano la Thailandia un paese stabile e giudicano l’economia thailandese di medio rischio, comunque soddisfacente al momento.
Definitivamente la Thailandia deve migliorare la qualita’ della forza lavoro. Solo allora i produttori thai potranno aumentare l’input di valore aggiunto e cosi’ espandere il loro ruolo nel commercio mondiale. Ma questo richiedera’ tempo.
Nessun commento:
Posta un commento