Ovunque andiate... che i vostri piedi non inciampino, che le vostre braccia non si indeboliscano e che le vostre parole siano veritiere. Allora le vostre speranze saranno esaudite e le vostre iniziative avranno successo (Fabio, da una Preghiera tribale del nord Thailandia).

giovedì 5 maggio 2011

Il khon.

La danza come espressione della creativita’ popolare e’ molto limitata e piu’ che altro semplifica, vivacizza, anche nei ritmi gli schemi classici oppure attinge da tradizioni esterne, come ad esempio della danza coi bambu’ che, in versione molto simile, si ritrova nel nord dell’isola filippina di Luzon.
La danza classica thailandese e’ rappresentata dal kon, un dramma mascherato di estrema bellezza ritualistica, derivato dalle danze nei templi indiani, attraverso la corte di Angkor. Si crede che abbia avuto origini nel sud del paese, in Nakhon Si Tammarat, che ebbe i primi contatti con la cultura indiana, e da li si sia diffuso in Cambogia. Nessuna prova rimane di come avvenivano queste rappresentazioni in Sukhothai ma in Ayutthaya il dramma mascherato era certamente un rappresentato nelle sale e nelle corti del palazzo, alla luce delle torce e senza scenario.
Il khon e’ quindi lo spettacolo artistico rappresentato per la corte reale, durante cerimonie regali. Era allora rappresentato da migliaia di ballerini, solo i ballerini che componevano la corte di Ravana, il personaggio terribile del Ramakien, il re dei demoni, erano un centinaio, ognuno con una distinta maschera. Oggi qualcosa del genere e’ impossibile da rappresentare, visto quali sarebbero le spese, il numero di ballerini e’ stato quindi ridotto. La storia riguarda un viaggio epico, si potrebbe paragonare all’Odissea di Omero o al mito di Giassone e gli Argonauti.
E’ un misto di ballo in musica, canzoni e testo recitato, il tutto accompagnato da orchestra e coro. I movimenti sono piu’ per i piedi che per le mani e ogni gesto e ogni passo della danza ha un distinto significato. Chi non conosce tutti i significati che determinano una certa postura dei danzatori e delle danzatrici , gli sguardi, l’atteggiamento delle mani e delle braccia e sopratutto il senso della narrazione difficilmente riesce a seguire a lungo gli spettacoli senza annoiarsi. Anche i tempi dell’orchestra, con la loro lentezza, la loro scansione ripetitiva contribuiscono a rendere ostica la materia coregrafica per il comune spettatore. Il quale, una volta esaurito l’entusiasmo per la bellezza dei costumi , la grazia delle ballerine e la loro abilita’ nel contorcere occhi, dita delle mani e piedi, comincera’ inevitabilmente a distrarsi. Nel’intera rappresentazione del Ramajien, in 138 episodi e con piu’ di 111 personaggi principali aveva una durata di 720 ore, come dire 30 binteri giorni, senza interruzione, anche per le versioni piu’ corte occorrevano almeno 20 ore che venivano suddivise in due lunghe notti. La complessita’ e la lunghezza divennero troppo per gli spettatori moderni.
I veri spettacoli di khon sono raramente rappresentati al giorno d’oggi. Nonostante questo vi puo’ capitare di essere invitati da amici a godervi una rappresntazione di khon. Se questo accade i luoghi tradizionali per queste rappresentazioni sono il Teatro Nazionale, il Chalerm Krung Royal Theatre e certi ristoranti. Cio’ che si puo’ vedere nei ristoranti non e’ una reale produzione del dramma danzato e mascherato del teatro thailandese ma ne puo’ dare una seppur pallida idea. Un buon posto per un approccio piu’ leggero e’ il tempio di Lak Muang, a Bangkok, dove vengono rappresentate danze offerte per grazia ricevuta. Qui si puo’ intervallare alla danza lo spettacolo offerto dai fedeli in preghiera, delle bancarelle, del via vai della gente, qui il tutto diventa avvincente. In tutti i casi se vi riesce di essere spettatore di una rappresentazione di khon, ricordate che come molti farang all’opera non sarete capaci di seguire tutti i dialoghi che sono cantati e salmodiati in arcaico, troppo formale e poetico thai, ma in fondo ci si puo’ sempre informare prima su cio’ che accade sul palcoscenico.
Ci sono quattro principali gruppi di caratteri: uomini, donne, demoni e scimmie. I demoni e le scimmie indossano maschere che coprono testa e faccia. Solo per dare un sunto delle maschere principali quella di Phra Ram era normalmente dipinta di verde profondo, aveva un sorriso a significare la sua benevolente natura e indossava una corona d’oro a tre livelli. La maschera di Tosakan a causa della sua natura malvagia era demoniaca, con miniature di facce di demoni sulla corona. Hanuma che era il personaggio piu’ amato dal publico e veniva considerata la parte piu’ importante dagli attori a causa delle sue performaces acrobatiche aveva una maschera bianca e decorazioni in linea con la descrizione di avere diamanti come capelli e cristalli come denti. Altra maschera importante era quella del Rusi, termine derivato da sanscrito rishi, che significa santo uomo. Aveva una maschera d’oro con caratteristiche piu’ umane di tutte le altre maschere. Si credeva che questa maschera avesse particolari poteri, a causa di questo quando veniva usata negli spettacoli era tenuta da parte e venerata e benedetta prima di essere usata.
Data la fatica dei movimenti della danza e l’atleticita’ necessaria gli attori del khon erano per lo piu’ uomini, che interpretavano anche i personaggi femminili. La complessa narrativa fu aiutata da un set di maschere che identificava ciascun carattere. Esse rendevano difficile per gli attori parlare cosi’ un coro vocale provvedeva la narrativa. Queste maschere, khon in thai, erano di grande importanza per identificare ciascun carattere e divennero in per se stesse una forma d’arte. Maestri artigiani ne erano responsabili, la loro forma e stile erano decretate sia in antichi manoscritti che tramandate per tradizione orale da maestro ad apprendista. Le maschere erano fatte di carta mache’ posta su un modello di terracotta. La carta si otteneva usando la sottile corteccia di un albero nativo chiamato khoi, che era tagliata a striscie, immersa in acqua e quindi battuta con un martello con una grande testa in legno per separarne le fibre. La carta khoi era poi pressata foglio dopo foglio sul modello, usando farina di riso come colla. Erano necessari corca 15 fogli e quando la carta si era seccata la maschera veniva rimossa dal modello facendo due grandi incisioni da ciascun lato e le due parti venivano raschiate via. Esse erano poi ricombinate con piu’ carta per coprire le incisioni. I dettagli erano aggiunti con lacca che era scaldata fino a che poteva essere laborata in corde che erano pressate all’interno della maschera a formare spigoli e con ornamenti di pelle di mucca e madreperla. Pittura e copertura con foglie d’oro terminavano l’opera.
I costumi che accompagnavano queste maschere erano altamente ornati, simili agli abiti dei re e delle creature divine come apparivano nei dipinti murali. Anche il colore di questi vestiti serviva a identificare il personaggio, rispettando quanto a estetica il colore delle maschere.
Altra variante e’ il lakhon che per quanto riguarda la danza si divide in tre categorie: lakhon-chatree interpretato originariamente da tutti uomini, lakhon nai, dove tutte le parti venivano interpretate da donne, e lakhon-nok, di nuovo tutti uomini. In entrambi i casi conviene lasciar perdere il filo del racconto e seguire solo il lato estetico. I luogo migliori per seguire queste forme di spetacolo sono le rappresentazioni che avvengono fra le rovine dei grandi templi khmer come Angkor o Phimai. In questi casi il lato estetico accresce la sua importanza, non c’e’ pericolo ndi annoiarsi. L’emozione e’ garantita.

< Home. < Arte. ----- >>>.


Nessun commento:

Posta un commento

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...