Ovunque andiate... che i vostri piedi non inciampino, che le vostre braccia non si indeboliscano e che le vostre parole siano veritiere. Allora le vostre speranze saranno esaudite e le vostre iniziative avranno successo (Fabio, da una Preghiera tribale del nord Thailandia).

domenica 15 maggio 2011

Nomi, cognomi e nickname.

A parte il cognome, che in verita' ha sempre avuto meno importanza del nome, i thai, generalmente, hanno due nomi, il nickname o soprannome, che viene loro dato alla nascita e il proprio nome che viene usato nei documenti e che e' il nome vero e proprio.
I thai ricevono il proprio nome dai genitori che spesso chiedono a un monaco o a un anziano di sceglierne uno appropriato o la prima lettera o sillaba del nome. Questi nomi sono in sanscrito alle origini e sempre hanno un buon significato: lunga vita, sole, luce di felicita’, ecc...
Il nickname e’ dato alla nascita e generalmente accompagna la persona per tutta la vita, essi derivano dal fatto che non si deve attirare l’attenzione degli spiriti, specie nel primo mese di vita, attenzione che potrebbe essere attirata da un bel nome quindi questi soprannomi non sono particolarmente elevati, cosi’ non attirano l’attenzione ma allo stesso non sono neppure nomignoli, parola che credo che in italiano abbia un significato un po’ dispegiativo. Questi possono includere Ma “Cane”, Mu “Maiale”, Mi “Orso”, Dae ng “Rosso”, Nu “Topo”, Pho “Abbastanza”, ecc...
Alcuni soprannomi sono sillabe o nomi senza senso come Ningnong o O. Altri sono descrittivi come Kung “Gamberetto”, dato a un bambino piccolo, Phak “Vegetale”, Samphao “Nave in navigazione” e Ott “Gitino”. Aet, Eet, Uht e Oot significano poco e niente ma sono facili da dire e ricordare.
Una Miss Universo, di qualche anno fa, aveva come nickname Pui che significa “il fermo sonno di un bambino” ma che in un altro significato e’ “fertilizzare”.
Anche oggi i thai continuano ad usare i soprannomi e in molti casi non conoscono e non pensano neppure di chiedere il vero nome di un amico.
La tradizione di questi soprannomi risalgono quindi a tempi antichi e a credenze primitive che dicevano che se un bambino aveva un un nome ufficiale bello e appropriato c’era il pericolo dell’invidia di un demone infelice. Meglio dare al bambino un soprannome che non attrae non benvenute attenzioni. In aggiunta a questi soprannomi, nessuno dei quali se tradotto letteralmente e’ insulto o complimento, ci si puo’ riferire ai bambini in modo dispregiativo. Questa pratica origina per lo stesso motivo visto in precedenza, non e’ difficile ancora oggi sentire una madre che complimenta un bambino definendolo brutto o poco carino.
Se un bambino di genitori buddhisti sopravvive ai suoi primi 30 giorni e’ meglio chiedere a un monaco per il suo vero nome ufficiale. Quando nasce un uomo gli viene dato un nickname poi gli viene dato il nome vero, quello ufficiale, basato sulle lettere dell’alfabeto che corrispondono al tempo della sua nascita. Se, ad esempio, e’ nato in martedi’ , Wan Pharuehatsabodi, il suo nome gli verra’ dalle consonanti comprese nel nome del giorno di nascita: p, ph, b, bh, il monaco guarda nel libro dei nomi, del tutto simile a quello che viene impiegato anche in occidente e scegliera’ un nome che cominci con la giusta consonante, suoni bene ed abbia un significato auspicioso.
Molte donne acquisiscono nomi che iniziano con la sillaba Su, che significa “bella”, “eccellente”, Sumali, Sunari, Supani e cosi’ via. Ciascuno ha un significato, molto spesso, poetico o letterale che e’ abbellito dal suffisso su: “Bouquet di Bellissimi Fiori”, “Bellissime Mani”, “Bellissima Ragazza”. Su e’ meno comune per i nomi degli uomini ma ce ne sono alcuni: Sunai, Suchai, Sucharit che significano “Bellissimi Occhi”, “Bell’uomo”,
Molti nomi riflettono memorie di guerra: Tongchai “Bandiera della Vittoria”, Chainarong “Campagna Vittoriosa”, o qualita’ desiderate come Prasert “Eccellente”, Pradit “Inventiva”, o Bancha “Comando” e cosi’ via.
I nomi delle ragazze riflettono piu’ qualita’ femminili: Somrak “Giusto Amore”, o il nome di fiori come Kulaap “Rosa”. Ci sono inoltre Saengchan “Luce di Luna”, Nimnuan “Dolce e Delicata”, Noknoi n”Piccolo Uccello” e cosi’ via.
Fino al 1917 i cognomi non furono ritenuti necessari ma Rama VI li impose ai suoi soggetti come parte degli sforzi di modernizazione del paese. Persone di alta classe furono spesso premiate con lunghi, altisonanti, polisillabi, nomi derivati dal salscrito e dal pali. I comuni ottennero corti e spesso monosillabici cognomi, usualmente di origine tai. La varieta’ di cognomi e’ impressionante e alcuni possessori sono fieramente orgogliosi dei loro perche’ furono concessi dal re piuttosto che da un dipendente di un ufficio distrettuale.
Occasionalmente si possono incontrare persone il cui cognome include na, non capitalizzato. Un esempio puo’ essere Khum Krisda Arungwongse na Ayudhya, un precedente governatore di Bangkok. Arawongse e’ il suo cognome, na Ayudhya e’ una particella che indica che alcuni dei suoi antenati erano regali. Tutti questi nomi na sono seguiti dal nome di un luogo: nna Chiang Mai, na Songkhla, as esempio.
Poiche’ rimasero tradizionalmente per secoli senza cognomi i thai hanno continuato nell’abitudine di usare i loro titoli con il nome, il cognome viene utilizzato solo per completare l’identificazione:
Dire ministro degli Interni Saman (Khajornprasat) e’ com in Italia dire Ministro degli interni Paolo.
Generale Chainarong (Nunphakdi) e’ come dire Generale Giacomo.
Dottor Kitti (Angsusingh) e come dire Dottor Luigi (Lattuca)
Achaan Krirkkiat (Adun) e come dire Professor Pietro (Migliorini)
Nai, Nang, Nagsao, come dire Signor. Signora, Signorina sono comunemente usati in Thailandia.
Phra “Venerabile” Kamala bhikkhu e’ un altro esempio di nome e titolo. In questo caso phra e bhikkhu significano entrambi monaco. Phra adorna qualsiai nome per renderlo santo e elevarlo e per riconoscere rispetto ad esso.
Usciamo per un momento dal seminato perche’ questa particella e’ importante e puo’ generare confusioni. Phra in uno dei suoi significati e’ “Signore”, specie se unito a chao, quindi, dato che viene anche sempre premesso al nome Buddha, alcune persone possono pensare che Buddha fosse un dio, ma in realta’ egli fu un Maestro i cui insegnamenti sono stati passati fino ai giorni nostri. Sicuramente egli mai rappresento’ se stesso come un dio. Una delle confusioni sulla terminologia e’ data da una radice nel lunguaggio thai. Il termine phra chao e’ spesso usato dai buddhisti thai col significato di “signore”, che e’ tuttavia una parola usata da cristiani e mussulmani per riferirsi a dio, ed e’ anche usata dai thai per riferirsi ai loro re, il che complica ulteriormente le cose. Phra per se stesso e’ un titolo onorifico usato per indicare dei, nobiluomini, immagini di Buddha, palazzi, templi, monaci, preti cristiani e quaksiasi altra cosa uno vuole rendere speciale, santificata o sacra.
Una donna sposata usa il suo primo nome. Molte professioniste tengono il nome della loro famiglia o usano sia il cognome della propria famiglia che il cognome da sposata. Da notare che non c’e’ nessun modo in thai di dire: “Signor e Signora Balduccelli”, cio’ dato che sia signore che signora dovrebbero usare il khun, probabilmente il tutto prende questa forma: “Khun Banyat Banthad e moglie”. Oppure, altra forma appropriata Dottore Krasae e Professoressa Sunari Phattana kabchanakul. Sapere questo e’ utile soprattutto negli inviti e nelle presentazioni.
Per i bambini in eta’ scolare il titolo sara’ dekchai, per i bambini, e dekying, per le bambine, un nickname puo’ essere usato con questi titoli.
Una variazione a queste regole dei nomi si ritrova negli immigrati cinesi. essi usano per lo piu’ fra di loro il tradizione arrangiamento cinese formato dal nome del clan a cui viene aggiunto il nome o il cognome: Li Hung-chang, ad esempio. Spesso i tai scrivono questi nomi col termine sae “clan”, invertendo l’ordine in base alla pratica thai. Cosi che il nome precedente diventa Hungchang sae Li o Hung-chang Lee. Ma quando qualche immigrante tenta di naturalizzarsi deve prendere un nome thailandese. E’ richiesto dalla legge che soggetti thai debbano avere nomi tai. A questo punto Li puo’ tentare di conservare parte del suo nome e scegliere Krungkrai Liphattanakanchanadhurakijkul.
Ma i suoi amici cinesi che lo conoscevano come Li, per molto tempo, continuarono a chiamarlo in questo modo. Poi il Ministro degli interni emano’ l’ordine che chiunque avesse adottato un cognome thai non poteva continuare a usarne altri che aveva usato in precdenza. Li qui aveva solo aggiunto al suo cognome, non lo avava cambiato, ed ognuno che aveva lo stesso nome aveva usato la stessa combinazione e ottenuto quindi lo stesso nome. Nel far questo egli aveva solo aggiunto alcune parole che si riferivano al suo lavoro. Li per Lee, Phattaha “oro” si era sviluppato in Kanchana, Dhurakij, significa “lavoro” e Kun per Kul “famiglia” o “clan”. Tutti quindi sapevano che era cinese, anche perche’ l’origine cinese rimaneva nel cognome.
C’erano pero’ altri problemi. Se egli per un colpo di fortuna doveva essere nominato nel Bangkok Post o in The Nation il suo nome doveva subire un processo di romanizzazione per i lettori inglesi.
Cambiare il thai, le lettere thai portarle nell’alfabeto romano e’ difficile e il sitema ufficiale e’ spesso ignorato dalla stampa.
Chiunque cerchi di imparare il tipo di romanizzazione approvato dall’Istituto Reale, chiamato Rachabandhitayasathaan, dopo migliaia di tentativi pensera’ che e’ piu’ facile volare dalla finestra della stanza dove sta studiando, sperando che sia abbastanza alta. Pochi thai hanno confidenza con quesyto sistema e quei pochi probabilmente hanno frequentato un corso o due di inglese.
Altri gruppi che si trovano nel regno, permanenti o di passaggio, hanno il proprio modo di attribuire nomi nel loro proprio linguaggio. Come i cinesi e i thai di qualsiasi altra cultura essi devono avere il loro proprio nome in stile tai per documenti ed altre carte. Come i cinesi essi riterrano in qualche forma una parte del loro nome originario.
Anche i monaci presentano un problema di nomi. Come nuovo monaco ordinato gli verra’ assegnato un nuovo nome che egli potra’ scegliere da un libro, se egli poi vorra’ continuare nella vita scolastica dovra’ cambiare il nome con qualcosa di piu’ altisonante. Piu’ che andra’ in alto, ad ogni gradino il suo nome verra’ cambiato, di nuovo e di nuovo, in modo da riflettere il suo stato. Il nuovo nome verra’ mostrato negli scritti col suo nome originale fra parentesi in modo che tutti sappiano chi fu ed e’. Fino a che se egli raggiunge il grado massimo di somdej phra sangharaja, il patriarca supremo, il re dei monaci non solo cambia il nome ma cania anche il linguaggio con cui occorre rivolgersi a lui ed e' il rajasap, linguaggio reale, viene adottato. Questo linguaggio e’ basato sul sanscrito e sul khmer ed e’ del tutto simile a quello con cui ci si rivolge al re, alla regina, ad altri membri della famiglia regale. Molti thai non lo parlano bene, tuttavia devono capirne un poco dato che lo ascoltano nelle notizie che parlano della famiglia reale alla radio e alla televisione.
Qualche volta anche agli occidentali che vivono da queste parti viene dato un nome thai. Da amici o colleghi, la maggior parte delle volte e’ segno di simpatia e accettazione, ma qualche volta e’ critico ed e’ basato su un rancore, in questo caso la persona interessata non lo imparera’ mai.

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